Le occulte ragioni del successo di Ulisse sono nel simbolico “viaggio” che incarna.
Quel “viaggio” che appartiene – inesorabilmente – a ciascuno di noi, e nel quale campeggia spesso la tentazione della furbizia e della scorciatoia.
Ma Dante, anch’egli un “viaggiatore”, lo colloca nell’Inferno, a raccomandare agli altri di “seguir virtute e canoscenza”.
Qualcosa vorrà dire di certo.
Ulisse non voleva partire per Troia; quando i capi dell’esercito acheo scesero al porto di Itaca per convincerlo, si trovarono di fronte a un uomo coperto di stracci che arava un campo di sabbia dopo aver aggiogato all’aratro un bue e un asino. Tra gli Achei c’era Palamede re di Eubea, noto per la sua saggezza. Palamede prese dolcemente tra le sue braccia il piccolo Telemaco che la madre Penelope teneva nel grembo e lo pose per terra davanti all’aratro. Ulisse, per non ucciderlo si fermò. Non era pazzo. I capi achei lo invitarono a seguirli. Il re di Itaca accolse l’invito, ma guardò torvo Palamede. Tempo dopo, sul lido di Troia, mentre i soldati apprestavano le opere per l’assedio, un branco di lupi attaccò i muli dei greci con le masserizie. Ulisse propose di respingerli verso la montagna. Palamede interpretò l’aggressione dei lupi come un segno mandato da Apollo per avvertire l’esercito greco dell’arrivo di una epidemia di peste. Vietò di mangiare carne, invitò a nutrirsi di frutta e verdura, fece gareggiare i soldati per mantenerli in esercizio e la peste venne sconfitta. Tutto l’esercito gli fu grato. I miti raccontano molti altri episodi nei quali Ulisse viene superato da Palamede, apparendo volta a volta o ignorante o vile o incapace. Ulisse, mortificato, si vendica. Simula un tradimento di Palamede, nasconde monete d’oro sotto la sua branda e lo denuncia ad Agamennone, capo delle armate greche. Palamede è processato e ucciso. Ma i soldati, che lo amano, innalzano un monumento per lui. La tradizione attribuisce a Palamede l’invenzione del gioco degli scacchi, dei numeri e delle lettere dell’alfabeto, delle stagioni e del ciclo dei mesi. Ad Ulisse la tradizione attribuisce l’astuzia, l’infedeltà, la calunnia. L’Occidente ha perso la memoria dell’onestà di Palamede e celebra la scaltra irrequietudine di Ulisse. Eppure nella leggenda omerica sembra esserci consapevolezza della inaffidabilità di Ulisse. Atena, nell’ Odissea , lo definisce «mai sazio di inganni», capace di «astuzie e racconti bugiardi». Dante lo colloca tra i fraudolenti. Sarà il Rinascimento a farne il leader per eccellenza, comandante di uomini, astuto, eloquente, curioso del mondo. In una raccolta di straordinari saggi del 2001, Odisseo dal Mediterraneo all’Europa , ci si chiede la ragione del mesto tramonto dell’onesto Palamede e dello sfolgorante successo del fraudolento Ulisse. Il primo sarebbe l’uomo della saggezza, l’altro l’uomo della sfida. Tuttavia oggi sembra più interessante cercare di comprendere non tanto le ragioni del successo di Ulisse quanto le ragioni dell’insuccesso di Palamede. Predichiamo quotidianamente onestà, verità e rispetto. Ma il simbolo di queste virtù è sepolto negli archivi mentre il suo calunniatore è sugli altari. E non si può dire che la vittima di Ulisse fosse sconosciuta. Gli specialisti ne hanno scritto frequentemente. Nei primissimi anni dell’Ottocento un ricco borghese lombardo, Giovan Battista Sommariva, commissionò ad Antonio Canova una statua di Palamede, pare per ricordare un sopruso che riteneva aver subito per mano del suo nemico Francesco Melzi d’Eril. Segno che ancora nell’Ottocento Palamede era noto come vittima di un’ingiustizia; ma dopo quella data, se non erro, è calato il silenzio. Con una breve interruzione, cinque anni fa, quando Alessandro Baricco, Michele Di Mauro e Valeria Solarino lo ricordarono in una emozionante rappresentazione in un’area archeologica di Roma. Poi di nuovo l’oblio. Certo, si tratta solo di un mito; ma i miti non sono favole irrilevanti. Contengono significati che nascono da sentimenti umani sempre presenti nella storia dell’umanità, seppure in forme mai uguali. I miti, scrive Salustio, filosofo amico dell’imperatore Giuliano, rappresentano vicende eterne proprio perché non sono mai esistite. Il mito di Palamede ci parla della drammatica fragilità della innocenza, come la condanna a morte di Socrate. Ma, a differenza di Socrate, vivissimo nella cultura della civiltà occidentale, l’onesto Palamede è scivolato nel buio. Le luci da sette secoli sono tutte per Ulisse, il suo calunniatore. In questo caso il silenzio sul mito ci dice più dello stesso mito. Perché nella vita reale non ci interessano la verità, l’onestà, la saggezza? Perché ci capita così spesso di confondere l’astuzia con l’intelligenza? Riuscire a rispondere aprirebbe squarci significativi nella identità dell’Occidente.
(Fonte: La Repubblica)