L’inconscio, velato protagonista delle nostre vite. E’ possibile renderlo “conscio”?
Ho molte questioni da chiarire riflettendo sulla mia vita, a partire dal momento in cui ho raggiunto la giovinezza. Avevo più o meno diciotto anni e tanta voglia di accrescere le mie conoscenze. Col passare degli anni questa mia giovinezza si è andata adattando al tempo che passava. Nella mia età adulta ho scritto molti articoli sui giornali del nostro gruppo, e questo ha accresciuto la mia esperienza. Adesso sono molto vecchio ma per fortuna la memoria non è scomparsa, e la lettura di articoli e libri miei o di altri amici costituiscono per me una notevole risorsa.
Nel corso della vita ho anche frequentato diversi posti in Italia e man mano che passavano gli anni ho visto l’Europa francese, quella Svizzera, quella inglese, quella russa, quella spagnola, e ho visto l’Africa. Ho avuto grandi soddisfazioni dal mio lavoro, quello di scrivere sui giornali e scrivere libri, e questo mi aiuta nella fase attuale, in cui la mia vita ormai non è molto lontana dal centenario. Perciò continuo a scrivere e così a preparare buon materiale che serva come ricordo e chiarisca le mie riflessioni.
Molte cose sono cambiate nel corso della mia vita. Ad esempio intorno nel 1944 la civiltà dell’Italia centrale e meridionale era ancora aggrappata ai latifondi. Nei paesi arrampicati al greto di torrenti secchi d’estate e gonfi d’acqua d’inverno, le terre erano state vendute e lasciate incolte in attesa che diventassero aree fabbricabili. La mafia aveva cominciato a mettere radici nella Locride, nei borghi dell’Aspromonte e nella piana di Gioia Tauro.
Un altro fattore storico cruciale nella storia d’Italia è stata la religione. Per secoli il Cristianesimo fu fortemente localizzato: Gesù Cristo era il Dio dell’Europa meridionale e centrale e le chiese erano molto frequentate. Tra gli esempi della grande cultura del nostro Paese c’è Dante, che dà una rapida ma incisiva testimonianza della sua grandezza quando dice:«Guido i’ vorrei Che Tu, Lapo ed Io Fossimo presi per incantamento E messi in un vasel ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse ’l disio E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch’è sul numer de le trenta con noi ponesse il buono incantatore e quivi ragionar sempre d’amore, e ciascuna di lor fosse contenta, sì come i’ credo che saremmo noi».Dante è il numero uno di questa storia culturale dell’Italia ed anche politica ma certamente non fu il solo, se si pensa a Petrarca e Boccaccio.Da allora, tanto tempo è passato. Vale la pena a questo punto di citare Leopardi, e soprattutto Montale. Per esempio la Casa dei doganieri : 22 versi divisi in 4 stanze dove l’autobiografia, memoria, malinconia, straniamento, paesaggio, raggiungono una fusione che richiama i canti più ispirati del Leopardi.«Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t’attende dalla sera in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto Libeccio sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola va impazzita all’avventura. e il calcolo dei dadi più non torna. Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana la casa e in cima al tetto la banderuola affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola né qui respiri nell’oscurità. *** È durato quasi un secolo il tramonto della modernità quella vecchia Europa, dove pure quella modernità era nata. Per questo mi ricordo una vecchia citazione da un mio libro: “la caverna degli istinti”. È così che chiamo la regione dell’inconscio dove gli istinti si agitano senza che il nostro Io, cioè la nostra coscienza, sia consapevole del come e del perché una caverna, un luogo oscuro dove affondano le radici della nostra natura.
La coscienza non ignora l’esistenza degli istinti e del resto tutte le lingue non solo moderne ma anche le antiche e le antichissime di tutto il pianeta conoscono e pronunciano quella parola e la mente ne pensa il concetto. Lo pensa, sa quanto gli istinti determinano la volontà, intuisce la loro sotterranea e continua tessitura dalla quale emerge la figura che chiamiamo Psiche.
Anche la mente è una figura pensata e immaginata. Psiche regna nella caverna oscura dell’inconscio, la mente del mondo luminoso della razionalità. Ma le radici della mente scendono fino alla caverna degli istinti e questi a loro volta pervadono ogni cellula del nostro organismo corporale, viaggiano sui fasci nervosi, arrivano con la velocità della luce alle mappe neuronali del tessuto cerebrale. La dialettica tra la natura dionisiaca e quella apollinea è stata elaborata dalla cultura dei Greci ed è ancora oggi un modo appropriato per descrivere la duplicità della nostra specie.
Questo è il rapporto tra psiche e mente dal quale scoccano i pensieri, quel tanto in più che ci mette su un gradino diverso da quelli delle altre specie viventi. E questo è il tema di un libro che qui comincia.
Non è certo un tema nuovo, anzi è antichissimo, non hanno trattato le mitologie, le religioni, le filosofie, le scienze terapeutiche e drammaturgiche
.Qualcuno dei miei lettori mi porrà forse a questo punto una domanda: quando è iniziato questo mio viaggio così lungo e tanto rischioso?
Ebbene, questo viaggio non è cominciato ora, ma anni fa con il libro intitolatoPer l’alto mare aperto.
Gli anni della vita passano presto, specie quando sono fitti di iniziative e di esiti positivi come è stato per noi di gioie e di dolori come avviene per tutti.
Italo Calvino nella sua Prima lezione americana scrive che la melanconia è la tristezza quando diventa leggera. Dunque, una tristezza che non è cupa ma mercuriale e certo così ma la domanda resta ancora inevasa, si sposta da una parola all’altra: che cosa è la tristezza?
La risposta si può cercare nella musica di Chopin, di cui più volte e anche ultimamente ho scritto. Ma anche nella pittura ritrattistica del Quattrocento e Cinquecento italiani, nella poesia di Petrarca e di Leopardi come detto. E attingere nel grande deposito della melanconia Shakespeariana, di Proust e di Rilke.
(Eugenio Scalfari su Repubblica, 26 Maggio 2021)