Giulio Bacosi

Il bivio tra diritto alla salute e libertà di scelta

Quella del bilanciamento tra Diritti e Valori costituzionali è una necessità inscritta nella Carta.
Che passa, giocoforza, attraverso il nobile filtro dei Doveri.

E’ diventato ormai un luogo comune l’affermazione che, nelle società occidentali contemporanee, l’unico tabù rimasto sia quello relativo alla morte; e che la rimozione dell’idea della stessa rappresenti una delle molte strategie di sopravvivenza adottate come terapia anti-stress dall’individuo nevrotizzato. Come tutti i luoghi comuni, anche questo ha un suo fondamento di realtà, ma le cose vanno cambiando: e, ormai da decenni, il pensiero razionale si interroga sulle questioni di fine vita e tenta di trovare risposte. Un formidabile testo, assai poco conosciuto, pubblicato nel 1965 dalla rivista Quaderni Piacentini , riporta un dialogo tra il germanista Cesare Cases e il grande antropologo Ernesto De Martino, ricoverato in un ospedale romano dove troverà la morte. Nel dialogo, scintillante di intelligenza e di ironia, troviamo affermazioni imprevedibili. In particolare, De Martino: «Sai che io penso appunto che nascita, matrimonio, morte abbiano bisogno di essere adeguatamente solennizzati anche in una società socialista, e provo orrore all’idea che tutto si riduca a un atto burocratico di fronte a uno sportello ». E poi: «Se uno ha il cancro e sa che deve morire, beh, allora ha un bel sapere che Dio non c’è, la tentazione è grande… E questo, caro mio, in Marx non ci sta scritto». E così, l’autore degli importantissimi Morte e pianto rituale e La fine del mondo , rivela, quasi con allegrezza, tratti di umanità che la coscienza della prossimità della fine, rende ancora più autentici. Nell’oltre mezzo secolo trascorso da allora, il morire è diventato un essenziale oggetto di studio, oltre che delle discipline della psiche, del diritto e della bioetica. Parallelamente, la maturazione della soggettività individuale ha portato a considerare le questioni del fine vita e – ancor prima – quelle del dolore e dell’accanimento terapeutico come altrettanti temi sui quali esercitare la libertà di scelta e il diritto all’autodeterminazione. Su questo la legislazione e la giurisprudenza sono intervenute recependo trasformazioni della mentalità e degli orientamenti morali e riconoscendo prerogative, garanzie e diritti. Di questo troviamo una esauriente documentazione e una originale elaborazione nel volume di Carlo Iannello, Salute e libertà. Il fondamentale diritto all’autodeterminazione individuale , pubblicato da Editoriale Scientifica. Il libro muove da una disamina dell’articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». La tesi centrale è che il concetto di diritto alla libertà terapeutica e alla disponibilità del proprio corpo si trovi e si esplichi interamente proprio all’interno di quell’articolo 32.Non è necessario, quindi, andare alla ricerca di un generico diritto all’autodeterminazione, modellato sulla falsariga di altri diritti, perché nella nostra Carta costituzionale si dà già soddisfazione a quelle medesime istanze sociali che in altri ordinamenti sono garantite dal diritto alla privacy. Com’è noto, l’articolo 32 non venne adeguatamente inteso nei decenni successivi alla sua formulazione: i commenti alla Costituzione lo rubricavano come tutela della salute pubblica, non considerando in alcun modo l’aspetto di tutela della salute individuale. Ma negli anni Sessanta, grazie ai mutamenti intercorsi nel senso comune e negli stili di vita e grazie alle mobilitazioni per il diritto alla salute nei luoghi di lavoro, la dottrina giuridica comincia a svecchiare le tradizionali letture dell’articolo 32. Il libro segue attentamente questi processi di innovazione nell’interpretazione di quel diritto, tanto a livello culturale quanto sul piano normativo. Si sviluppa, in tal modo, un movimento del pensiero e del comportamento individuale e collettivo, che trova nella tutela della salute il fondamento del diritto a disporre di sé e del proprio corpo. Quando la salute assume una così ampia dimensione di realizzazione della personalità individuale e di acquisizione di benessere fisico, psichico e sociale, ecco che diventa conoscibile e amministrabile pienamente solo dal diretto interessato. Su questa idea così larga di salute e comprensiva del concetto di libertà, il libro segue le tappe dei diversi interventi delle diverse sentenze delle corti (dalla pronuncia della Cassazione a proposito di sterilizzazione volontaria, fino a quella della Corte d’Assise di Firenze sul “caso Massimo” dove l’articolo 32 viene esplicitamente indicato come riferimento essenziale del ragionamento). L’analisi di Iannello segnala come queste potenzialità dirompenti dell’articolo 32 vengano sottaciute e trascurate seguendo quel “doppio movimento”, così definito da Amedeo Santosuosso: un costante travaso di contenuti tra la categoria di salute e quella di libertà personale, come se le prerogative attribuite alla prima siano state trasferite nell’articolo 13 sulla tutela della libertà personale (quindi libertà fisica e habeas corpus ) e viceversa. Un “doppio movimento” che ingenera confusione e compromette le maggiori tutele che la Carta costituzionale sarebbe in grado di offrire se si rispettasse una più attenta distinzione tra i contenuti dell’articolo 13 e quelli dell’articolo 32. Poi, venne la sentenza 438/2008 della Corte costituzionale. La Consulta affermò il difetto di legittimazione delle Regioni (in quel caso il Piemonte) a emanare una legge sul consenso informato: e la pronuncia venne intesa come paradigma del diritto all’autodeterminazione terapeutica, diventato così un diritto-sintesi tra libertà personale e diritto alla salute.

In questo modo la libertà personale non viene più interpretata riduttivamente come esclusivo diritto alla difesa del corpo da coercizioni esterne, ma assume la dimensione piena di diritto all’autodeterminazione. E perde, così, il suo connotato fondamentale di tutela dell’individuo dalla coazione fisica per diventare libertà di autodeterminarsi. Come notava Stefano Rodotà, muta lo stesso rapporto tra medico e paziente, che da paternalistico diviene partecipato, così da realizzare quell’alleanza terapeutica cui molto deve la legge 219 del 2017 sulle disposizioni anticipate di trattamento oltre che, appunto, sul consenso informato. Ne consegue che la libertà di salute si fonde con la libertà personale svolgendo solo il compito di proteggere l’individuo da trattamenti sanitari non voluti. Si restringe quindi la portata dell’articolo 32 alla sola prima parte del secondo comma.

Qual è la conseguenza? Se tutela della salute e libertà personale sono due diritti che si fondono e si sintetizzano, sono anche due termini di una potenziale contrapposizione: se diventano bilanciabili e potenzialmente antagonisti fra di loro, la salute viene nuovamente catapultata in una dimensione statica e oggettiva, perché tutto il suo contenuto di autodeterminazione è stato interpretato alla luce della tutela della libertà personale. Ma perché questa complessa dissertazione? Non si tratta di un esercizio di stile giuridico, dal momento che sullo sfondo c’è una questione dirimente. Un conto è dire che l’autodeterminazione è garantita dall’articolo 13, altra cosa è affermare che essa è protetta dall’articolo 32. Se consideriamo le controversie legate a vicende sociali e giuridiche come l’aiuto al suicidio, la transessualità, la fecondazione assistita e altri casi dove si manifesta la volontà di autodeterminazione in rapporto al corpo e alla salute, scopriremo che la posta in gioco riguarda lo spazio di cui dispone il legislatore per limitare la libertà e imporre il divieto. Qual è questo ambito di discrezionalità? Ad avviso di Iannello, esso è molto più ristretto e rigoroso se è riferito all’articolo 32. Secondo quest’ultimo, il legislatore trova un forte limite al suo potere nel vincolo costituito dal “rispetto della persona umana” (comma II dello stesso articolo). Il volume, dunque, ricerca quale sia il fondamento costituzionale più solido del diritto all’autodeterminazione, che può comprendere, tra l’altro, la rinuncia a una prestazione medica. Il legislatore ci è arrivato solo nel 2017, dopo tanta sofferenza ignorata e tanto dolore non ascoltato. Lo studio di Iannello, una sorta di teoria della bioetica costituzionale, vuole contribuire all’elaborazione di un diritto capace di accogliere le indicazioni di un’etica pubblica che abbia al suo centro il corpo dell’individuo e, per suo tramite, la sua dignità, nel rispetto, appunto, “della persona umana” complessivamente intesa.

(Fonte: Repubblica)

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