Il muro, sul versante “attivo”.
L’indifferenza, sul crinale “passivo”.
Non c’è angolo che non abbia, dietro di sé, un proprio Calvario.
E abbiamo tanti “angoli bui” anche dalle nostre parti…
The drop , la caduta, è una forma di consegna standard nell’attività criminale. Si lascia cadere una busta di soldi nella feritoia del bancone di un bar, un sacchetto di droga nel condotto di una grondaia. O un bambino da un muro di confine. La differenza fondamentale è che ad attendere i soldi o la droga c’è una mano, per il bambino: nessuno. Il video delle telecamere di sorveglianza di Santa Teresa, alla frontiera fra Stati Uniti e Messico, mostra una di queste consegne. Le immagini a raggi infrarossi sfondano l’oscurità scoprendo le figure di due uomini e di quelle che si riveleranno essere due piccole, di 3 e 5 anni, ma in quel momento sono soltanto fagotti da buttare oltre l’ostacolo. Nei film del secolo scorso così venivano distribuiti i giornali in America: con un lancio al di là della staccionata. Quel tracciato si è esaurito, questo della frontiera invece è diventato sempre più battuto e ha due protagonisti: coyote e bambini, come in un pessimo cartone animato.
I coyote sono chiamati così perché conoscono i sentieri e la notte. La costruzione del muro ha semplificato il loro lavoro: non devono più addentrarsi in territorio ostile, si limitano a far passare la merce. Sono rider di vite umane. Non hanno bisogno di un sindacato, dipendono dal cartello. Prendono quel che viene loro dato e lo portano dove viene loro detto. I bambini servono, oltrechè a produrre qualche incasso minore, a sviare l’attenzione dal resto delle attività. Sono pacchi come altri, da maneggiare con relativa cura finché li hanno tra le mani. Da quando li lasciano cadere, non è più un problema che li riguardi.Il muro è alto quattro metri, se li sganciano a due da terra dovrebbero farcela. Sennò, sarà dopo aver toccato il suolo d’America: nessun reclamo è accettabile. Ai coyote non interessa quello che accade di là, né li attrae: la loro fortuna è da questa parte, è la disperazione degli altri.
I bambini invece devono andare via se vogliono sopravvivere senza diventare come i coyote. Sono i loro genitori a saperlo, per l’esperienza che hanno e per il futuro che divinano senza alcun magico potere. La pandemia sta dando il colpo di grazia alla speranza. La lunga marcia che avevano iniziato insieme si è interrotta. Ora possono continuare soltanto i più piccoli. Il nuovo presidente, oltre il muro, non se l’è sentita di chiudere la porta anche a loro. Quella è la terra in cui si smarriscono, lasciati come Hansel e Gretel all’ignoto, con un lupo per amico, perché qualcuno della famiglia, chi va o chi resta, possa avere un destino più facile. Da sette anni ormai il loro viaggio procede a ondate, più alte nella stagione favorevole. Ora li sospingono una necessità senza precedenti e quell’inattesa eccezione. Hanno spesso un numero cucito sul colletto: quello di un parente da far chiamare per sperare nel ricongiungimento.
Valeria Luiselli, un’autrice messicana che ha lavorato come traduttrice per i casi di immigrazione al tribunale di New York, ci ha scritto un gran romanzo dal titolo Archivio dei bambini perduti . La protagonista raccoglie in scatole vuote la “voce” degli scomparsi, quelli che non ce l’hanno fatta. Le due piccole lasciate cadere oltre il muro potranno parlare, ora sono in ospedale, poi passeranno nei centri di detenzione, in attesa che qualcuno risponda alla chiamata, se avevano un numero sul colletto: «Un bambino rifugiato è un bambino che aspetta». La loro storia, come spesso accade, è diventata un caso perché c’è un’immagine che ci sbalordisce. Le vediamo cadere, ma ad attutire il loro atterraggio è una coltre di silenzio: quella che avvolge tutti i bambini perduti.
(Fonte: La Repubblica)