Il fraintendimento è di norma l’effetto d’una qualche superficialità, e questo non può non valere anche per il noto brano del Maestro Minghi.
Ad esempio, quando l’Amore – quello con la “A” maiuscola, dalle radici etimologiche “eterne” – (all’apparenza) se ne va, non è che siamo noi a non saperne scorgerne l’immutabile permanenza?
Amedeo Minghi non se lo spiega. Lo lascia sorpreso che Vattene amore, la sua hit del 1990 portata a Sanremo con Mietta, sia usata come sottofondo ai video dei matrimoni… «Beh, tutti se la dedicano spesso, ma il titolo è abbastanza esplicativo: Vattene amore», racconta il cantautore che ieri ha pubblicato «Navi o marinai». «Questo brano nuovo vuole essere un messaggio di speranza. Le canzoni che scrivo non hanno quasi mai traiettorie precise, ma ho sentito l’esigenza di affidare a questa canzone il mio abbraccio».
Nel testo parla di «vinti o vincitori», «prede o predatori…». Nella vita da che parte si è trovato?
«Direi un pareggio, usando una termologia calcistica. A volte ci si immagina vinti e ci si scopre poi vincitori, o viceversa. È ciò che accade alle canzoni. A volte hanno bisogno di tempo per essere capite e avere fortuna».
Come «Vattene amore» celebrata all’ultimo Sanremo dal duetto fra Elodie e Fiorello?
«Sono stati bravi e disinvolti. Li ho ringraziati. Quel brano nasce dal dialogo incessante di due visionari, io e Pasquale Panella. Il successo e la popolarità raggiunta hanno frantumato il significato stesso di questo raffinatissimo brano. Meglio così».
È vero che il «trottolino amoroso» viene dalle Nozze di Figaro di Mozart e il «gattino annaffiato» dalla pubblicità della Barilla?
«È una canzone piena di riferimenti e allusioni, ma come tutti i successi viene strappata agli autori e diventa del pubblico. Dentro c’è il “farfallone amoroso” mozartiano come riferimenti a pubblicità smielate dell’epoca».
La pandemia le ha dato più tempo per scrivere o le ha tolto stimoli?
«È un periodo delicato a livello mondiale. Ci mancano le abitudini di sempre. Siamo tutti più fragili e più soli. Non ho avuto lo slancio di scrivere o di progettare. L’ispirazione accade sempre un attimo dopo l’esperienze “forti”. Siamo ancora nella tempesta».
«1950» raccontava l’Italia del Dopoguerra. C’è bisogno di una Serenella per il post-pandemia?
«Serenella è ancora oggi una ragazza modernissima: ha gli occhi spalancati verso il futuro. Ci racconterà ancora molto».
Le piace la nuova generazioni di cantautori emersa con lo streaming?
«Gli arrangiamenti sono il loro punto di forza. Un tempo si partiva al pianoforte o alla chitarra e si facevano sentire melodie; dovevamo essere riconoscibili con la nostra voce. Oggi i cantautori nascono in un mondo fatto di immagini e pertanto hanno un approccio diverso. Ad esempio i testi hanno bisogno di più parole e spesso sono molto più colti e profondi di ciò che la mia generazione produceva».
(Fonte: Corriere della Sera)