Sul Pianeta, è l’unico Mare che “unisce” piuttosto che dividere.
Un “Mare-ponte”. Ed è proprio il “Mare Nostrum”. Impariamo, con gli Antichi, a leggerlo come tale.
Se pensiamo al Mediterraneo siamo irrimediabilmente trasportati in un mondo di luce, colori intensi, musiche primordiali, religioni ancestrali, civiltà millenarie. Come un’onda che con regolarità si infrange sulla battigia e poi torna indietro, nei secoli vi si sono succeduti, scontrati e mescolati popoli e culture, trasformandolo in un immenso laboratorio di meticciato e osmosi. Che i popoli fossero giunti dall’Africa, da Settentrione o da Oriente, poco importa: col tempo, gradualmente, sono diventati «altro», riplasmandosi nel nuovo contesto.
Federico II di Svevia, che riuscì a creare una magnifica corte a Palermo, nella quale era naturale incontrare intellettuali di ogni religione e cultura, fu definito Stupor mundi. Non a caso, a lui si ispira il titolo di questo libro: normanno, giunto nella greca Trinacria, armonizzò da subito gli influssi bizantini e arabi con la propria indole nordica. Ma questa tendenza, che oggi chiamiamo melting pot, non fu propria solo del Medioevo. Vi fu un mondo, molto più antico, che apparve agli occhi dei presenti forse ancora più stupefacente. È una distesa d’acqua circondata da coste in cui dalla notte dei tempi si incontrano Egiziani, Fenici, Minoici e Micenei; più tardi Greci, Etruschi e Italici, Romani; infine Germani,Slavi, Arabi, Turchi. E ora tanti altri.
È stato detto, a ragione, che il Mediterraneo antico non può essere compreso appieno se non si seguono anche le rotte delle merci e delle persone che da lì partono e arrivano: ecco perché anche l’Arabia e l’India, con i loro profumi e le spezie giocano un ruolo fondamentale nella sua storia, e così pure la Cina con la seta.
Oggi ancor di più, questo piccolo specchio d’acqua, l’antico Mare Nostrum, se vuole essere compreso anche nei risvolti contemporanei,deve essere riferito a una dimensione di confronto globale nello spazio e nel tempo. Solo così potremo capire con più chiarezza la fragile argomentazione sottesa alla difesa acritica di identità e particolarismi.
Basta pensare ai cosiddetti piatti tipici, come la pizza, di recente annoverata nel patrimonio immateriale dell’Unesco: una creazione che prevede la presenza del pomodoro, un ingrediente che non viene dal Mediterraneo ma dal Nuovo Mondo. È tuttavia proprio nel Mediterraneo che è nata tale creazione che, nel tempo, è assurta a piatto identitario simbolo di Napoli.
E che dire dell’esotico caffè che viaggia per migliaia di chilometri per incarnarsi nella tipica tazzulella e anche all’estero è simbolo di italianità? O della cioccolata che impropriamente definiamo svizzera? O della seta?
Non parliamo poi dei riti pagani e religiosi che vedono ancora oggi, soprattutto nelle città fortemente conservative, un sincretismo continuo e una mescolanza di sacro e profano, una processione infinita di figure del mito che continuano a esistere in mille forme con necessarie metamorfosi.
Di quale «identità» possiamo parlare allora? Forse l’unica reale è la predisposizione innata degli abitanti del Mediterraneo a conoscere, reinterpretare, convivere con ciò che è nuovo e diverso, seppure dopo un iniziale momento di paura e diffidenza. In breve, l’intruso diventa organico e la cornice più ricca.
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Questo immenso viaggio alla ricerca della nostra identità comune, di ciò che unisce — e non che divide — è possibile farlo in tanti modi (per esempio leggendo o prendendo un aereo), ma noi abbiamo scelto di farlo partendo da un museo, l’Archeologico di Napoli. La ricchezza delle collezioni del «più grande banco dei pegni del mondo antico», come lo ha definito Erri De Luca, ce lo permette.
Incontreremo statue, affreschi, oggetti di mondi lontani che ci guideranno in tanti luoghi spesso dimenticati: da Troia a Samarcanda, dall’Egitto a Cartagine, da Pompei a Creta. Conosceremo aspetti meno noti di figure mitiche come Achille, Ulisse, Medea. Ascolteremo vicende dimenticate di personaggi che hanno fatto la storia: Alessandro Magno, Augusto, Tiberio e molti altri.
Un viaggio che ci permetterà di riflettere su tanti temi attuali e, alla fine, su noi stessi. Se saremo ancora in grado di stupirci di fronte alla cultura, di emozionarci guardando l’immensità che dischiude la conoscenza, i dubbi e non le certezze che insinua, se riusciremo a ridere pensando al fatto che «tutto ciò che apprendiamo è già successo», potremmo avere un’occasione formidabile: non ripetere più gli errori del passato. Questo libro vuole essere solo un piccolo stimolo per iniziare questo percorso.
(Fonte Corriere della Sera)