Inorganico vs Organico. La materia che uccide la vita.
E se invece fosse tutto “vivo”?
Eccola la prova del crimine: 66 milioni di anni più tardi è finita sotto la lente degli investigatori. Chiamatelo pure cold case , l’importante è che alla fine sia stato risolto. Una traccia di iridio cercavano, e una traccia di iridio hanno trovato, gli Sherlock Holmes dell’università del Texas.È uno strato di pochi centimetri, argenteo e ancora lucente dopo tutto quel che ha vissuto, sepolto 600 metri sotto al fondale marino, nel Golfo del Messico, all’interno di quel cratere Chicxulub creato dall’impatto di un asteroide, largo almeno 10 chilometri, 66 milioni di anni fa. È lo stesso metallo — il più resistente alla corrosione che esista — di cui si sa che fosse ricco il proiettile venuto dal cielo (tutti gli asteroidi di quel tipo lo sono) e che, polverizzato in un’esplosione pari a 10 miliardi di bombe di Hiroshima, riempì i cieli del pianeta e li oscurò per una ventina di anni insieme a frammenti di rocce terrestri sulfuree volatilizzate. Poi finì per depositarsi al suolo in ogni angolo del pianeta, lasciando che un nuovo capitolo della vita si aprisse: quello che coinvolge anche noi.La scoperta dell’iridio nel bel mezzo di Chicxulub è la prova che fu proprio l’asteroide caduto nel Golfo del Messico a creare incendi, tsunami e piogge acide, a offuscare i cieli con una nube che causò un inverno lungo due decenni. Essiccò la vegetazione e causò l’estinzione di tre quarti delle specie viventi: fra loro i dinosauri. Ma non quelli alati, che sarebbero diventati gli uccelli che conosciamo oggi.
La pista dell’iridio in realtà parte da un luogo molto lontano da Chicxulub. Nel 1974 la paleontologa italiana Isabella Premoli Silva accompagnò il collega americano Walter Alvarez in una spedizione geologica nella gola del Bottaccione, vicino Gubbio. Fra gli antichi strati della terra, Premoli Silva mostrò ad Alvarez una strana striscia di colore argenteo e lucente. Iridio, in un deposito risalente a 66 milioni di anni fa.
Non l’unico: filoni simili di origine extraterrestre spuntarono in altri 350 punti del pianeta, in strati sempre coevi. Fu grazie a quella gita che Walter, con il padre Luis, premio Nobel per la fisica, negli anni ’80 provò a ricostruire la dinamica del malfatto: un asteroide, ricco di iridio, caduto sulla Terra con un’energia tale da polverizzare e distribuire il metallo lungo tutto il pianeta, aveva causato l’estinzione di massa.
Suggestiva, come ipotesi, ma senza prove, fino a oggi. La conferma del cataclisma causato dall’asteroide non cancella la teoria del vulcanismo molto attivo in quell’epoca, che con le sue esalazioni mefitiche probabilmente aveva già modificato il clima e portato la Terra ai limiti dell’abitabilità. Ma rende difficile, d’ora in poi, smentire che il colpo di grazia — e che colpo di grazia — venne dall’enorme imprevisto piovuto dal cielo. L’iridio, proprio dove l’asteroide ha lasciato la sua impronta — e che impronta: 150 chilometri di diametro, 19 di profondità — è come la macchia di sangue sotto agli stivali dell’assassino.
È dal 2016 che sul luogo dell’impatto gli investigatori scavano con piattaforme simili a quelle petrolifere. In una di queste spedizioni dell’International Ocean Discovery Program i ricercatori hanno estratto una carota di roccia con il frammento di iridio, tra resti di rocce sottoposte a fusione, materiali carbonizzati negli incendi, depositi di tsunami, raccontandolo su Science Advances . «Il nostro risultato — scrivono i ricercatori, con una partecipazione anche del dipartimento di geoscienze dell’università di Padova — dimostra in modo decisivo che c’è un legame fra il cratere di Chicxulub e lo strato di iridio trovato nel resto del mondo, testimone dell’estinzione di massa».
Fonte: La Repubblica