Lo Sport è un Valore avvinto a trasparenza e nitore.
Questa tristissima vicenda lascia basiti e ci interroga sul senso più autentico della parola “inquinamento”: ne esiste uno ambientale, uno sociale, uno semplicemente “umano”, e così via…
E siamo chiamati tutti, ciascuno in quello che può, a “ripulire”.
Ora è tutta un’altra storia. Niente più tesi, opinioni, sospetti, dubbi. Da ieri mattina c’è tanto di sentenza, nero su bianco, di un Tribunale della Repubblica: ciascuno può gridarlo, dirlo, scriverlo, ricordarlo. Alex Schwazer è stato incastrato, non si è dopato. Vittima di un complotto, nel 2016, che gli impedì di partecipare all’Olimpiade di Rio de Janeiro e gli spazzò via la carriera, la prospettiva di una rinascita. Oggetto di una macchinazione architettata ai più alti livelli del sistema sportivo mondiale per colpire non solo lui, Oro a Pechino nel 2008 e candidato a un’altra medaglia ai Giochi in Brasile, ma pure il suo allenatore, l’uomo che più di ogni altro in Italia si è speso per la lotta al doping: Sandro Donati.
Il gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino, ha depositato ieri mattina 87 pagine spietate contro la Wada e la Iaaf (oggi World Athletics), accusate persino di falso ideologico, frode processuale e diffamazione. Un atto d’accusa spaventoso, esplosivo. Che non ha risparmiato nemmeno il pm Giancarlo Bramante, che due mesi e mezzo fa, il 3 dicembre, aveva proposto l’archiviazione per Schwazer «limitandosi» però a parlare di «elementi di opacità». Al pm ora tocca il compito di indagare su chi abbia organizzato e realizzato la truffa: il fascicolo è già stato aperto.
Il gip ha ritenuto «accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni di urina prelevati ad Alex Schwazer l’1-1-2016 siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e, dunque, di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore, Sandro Donati». E che «sussistano forti evidenze del fatto che nel tentativo di impedire l’accertamento del predetto reato siano stati commessi una serie di reati che di seguito si elencano: a) falso ideologico in relazione alla dichiarazione di disporre di soli 6 ml di urina nell’originario campione B, essendo acclarato che ve ne erano circa il triplo, 18 ml ; b) frode processuale in relazione alle predette dichiarazioni, alle pressioni esercitate sul laboratorio di Colonia affinché questo si allineasse, come poi ha fatto, alle posizioni di Iaaf nell’opporsi alla rogatoria internazionale per la consegna dei campioni già sequestrati; c) falso ideologico finalizzato a coprire il precedente falso, consistito in una dichiarazione secondo cui la predetta indicazione sulla quantità (6 ml) sarebbe stata frutto di un errore; d) falso ideologico, frode processuale e diffamazione in relazione alla consulenza redatta, per contro di Wada, dai professori Pascali e Tagliabracci al fine di contestare che la concentrazione di Dna riscontrata nell’urina dell’1-1-2016 fosse da reputarsi anomala». Sono parole che da un lato demoliscono il sistema sportivo, e dall’altro soltanto in minima parte ripagano Schwazer di cinque anni di battaglie.
L’indagine aperta
Il pm dovrà indagare su chi abbia organizzato la truffa per screditare l’atleta e l’allenatore
Parole che non avranno ripercussioni sulla giustizia sportiva. La squalifica di 8 anni, decisa nel 2016, rimane: non esiste la possibilità di rifare il processo. L’ipotesi principale al momento al vaglio dei legali dell’atleta sembra essere una richiesta di riabilitazione-grazia al Cio. Schwazer sa che potrà contare sull’appoggio totale del Coni: il presidente Malagò e il segretario Mornati — dietro le quinte, silenziosamente — sono sempre stati al fianco di Alex e di Donati.