Diversi fiumi solcano l’italico terreno.
Tutti – nessuno escluso – densi di storia, di cultura, di magia.
Uno tra essi è assurto nelle scorse ore ai più tristi onori delle cronache.
Quando, salendo verso il confine con l’Austria, superata Verona, ci si immette nella Valle dell’Adige, incastonata tra montagne che sono tra le più belle al mondo (se non, addirittura, le più belle del mondo), il senso della magia è quasi fisicamente palpabile.
In una cornice di paesini, di campanili, di cime verdi o innevate, il fiume scorre lento verso la laguna veneta, inverando una “vita incantata” che lo vede quasi “consapevole” del dolce “montano” che esso apporta al salato del mare Adriatico.
E’ proprio quel fiume, l’Adige, che ha restituito il corpo senza vita di una moglie e di una mamma e che, con ogni probabilità, restituirà anche quello di un padre e di un marito.
Lui, il fiume, non ha responsabilità: il suo scorrere lento e inarrestabile accoglie tutto ciò che gli si offre, spontaneamente o in modo indotto.
E tuttavia sono proprio questi i momenti in cui occorre con maggior sforzo sapere inverare quel principio dell’innocenza presunta scolpito all’art.27, comma 2, della nostra Costituzione: l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva.
Fino ad una sentenza emessa da Magistrati della Repubblica.
Non – dunque – da ciascuno di noi, chiamati piuttosto a non colpevolizzare, facendone quasi inconsciamente un complice, il fiume Adige.
Poche Regole chiare, ci salveranno tutti!