La povera Gudeta lavorava con (ed amava) le capre.
Per chi conosce l’iconografia medievale, si tratta di un particolare tutt’altro che insignificante…“Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc, 23, 34).
Uccisa per un mese di stipendio non pagato. Per questo, meno di mille euro, è morta Agitu Ideo Gudeta, colpita più volte al capo dal pastore a cui aveva dato lavoro e alloggio e che, dopo il delitto, l’ha spogliata per infierire sessualmente. Adams Suleimani, 32 anni, giunto in Italia dal Ghana nel 2015, ha confessato la scorsa notte: «Abbiamo litigato per i soldi, poi ho perso la testa e l’ho colpita con il martello», ha raccontato ai carabinieri. Poi, in un italiano stentato, aiutato dall’interprete, ha aggiunto: «Ho sbagliato, se avessi avuto del veleno mi sarei ucciso, ora merito che qualcuno faccia lo stesso a me».Quella che poteva sembrare una storia di razzismo (la donna aveva subito in passato aggressioni e minacce) è in realtà un femminicidio. E resta immutata l’impressione per il tragico destino di questa donna che, con la sua grande determinazione, era diventata il simbolo dell’integrazione possibile.
A Frassilongo, in valle dei Mocheni, una valle isolata fra i monti del Trentino, dove si parla ancora una lingua antica, parente del tedesco, Gudeta aveva realizzato il progetto di coltivare la terra e allevare le capre. Un sogno impossibile in Etiopia — raccontava — dove aveva lottato contro il land-grabbing delle multinazionali che fanno incetta di terreni. Un sogno difficile anche in Trentino, come dimostrano i contrasti passati. Ma lei ce l’aveva fatta. Per portare avanti la sua azienda agricola, la donna — che avrebbe compiuto 43 anni domani — dava lavoro anche a immigrati come lei. Tra questi, l’uomo che aveva l’incarico di accompagnare il gregge e che l’ha uccisa. Una collaborazione nata un paio di anni fa, finora senza contrasti. L’omicidio risale a martedì mattina: un mese arretrato era stato pagato ma — sostiene l’assassino — ne mancava ancora uno. «Ho perso la testa e l’ho colpita», ha ammesso il pastore. Dopo l’uccisione, Suleimani si è lasciato andare — ha raccontato ai carabinieri — a gesti di autoerotismo. Ma sarà l’autopsia a stabilire se c’è stata violenza sessuale. Poi si è rifugiato nella stalla, dove gli investigatori, qualche ora dopo, hanno notato, all’ingresso, le sue impronte sulla neve caduta abbondante nelle ultime ore in valle dei Mocheni: la valle incantata diventa valle dell’orrore.
Interrogato, l’uomo ha presto confessato, raccontando dei figli a cui mandava i soldi in Africa. È stato un delitto d’impeto, sostiene, il martello era in casa della donna, a portata di mano.
Fiori, ieri mattina, davanti al negozio che Gudeta aveva a Trento. E in città, centinaia di persone hanno animato una lunga fiaccolata per ricordare la donna coraggiosa, giunta dall’Africa, che aveva studiato sociologia a Trento e che continuava a fare progetti per il futuro. Un esempio ricordato ieri dall’Agenzia dell’Onu per i rifugiati: «Un modello per chi lotta per ricostruire la propria vita». Tanti giornali e televisioni avevano raccontato la sua storia. L’ha ricordata pure Emma Bonino che nel marzo del 2017 l’aveva voluta alla festa delle donne per raccontare il suo successo di imprenditrice fuggita dall’Etiopia alla ricerca di un nuovo modello di economia sostenibile. E anche la scrittrice Francesca Melandri, che doveva raggiungere Agitu Gudeta in valle dei Mocheni per parlare di libri e montagna ha voluto ricordare la pastora africana.
Oggi nel piccolo paese di Frassilongo arriveranno anche i funzionari dell’ambasciata di Etiopia in Italia che dovranno rintracciare i familiari della vittima — tutti all’estero — per informarli dell’assassinio.
(Fonte: Repubblica)