Comunicazione istituzionale e pubblicità hanno in parte lo stesso sangue.
Ma sono solo “mezzi parenti”….
Da più parti si invoca l’uso di testimonial per promuovere la vaccinazione contro la Covid-19. Alcuni suggeriscono di enfatizzare il buon esempio di politici e scienziati visibili, altri di ricorrere agli influencer del web. Su un tema così rilevante è fondamentale partire da ciò che ci dice la letteratura scientifica internazionale.
Primo. Le cosiddette forme «narrative» di comunicazione della salute (quelle che presentano storie, esempi e testimonianze più che dati o argomenti fattuali) hanno in generale un impatto piuttosto moderato sul grande pubblico. L’impatto è relativamente più visibile se la testimonianza è in video, quasi trascurabile se riportata da un testo. L’efficacia delle narrative varia anche sulla base di una serie di aspetti, tra cui lo specifico testimonial scelto.
Oggi è sempre più difficile trovare figure su cui vi sia consenso unanime e il rischio è che si rifiuti il messaggio non tanto per il suo contenuto quanto per scarsa affinità con la figura proposta. Non dimentichiamo quanto si rivelarono infelici e criticate scelte come quella di usare Topo Gigio come testimonial all’epoca dell’influenza A nel 2009. E non scordiamoci i blandi tentativi di rassicurare la popolazione sulla sicurezza dei cibi addentandoli in pubblico in occasione di emergenze come la cosiddetta ‘mucca pazza’ o l’influenza aviaria (e perfino agli inizi dell’attuale crisi pandemica con il cibo cinese).
Secondo. Non fare di ogni erba un fascio, ovvero non considerare lo scetticismo nei confronti del vaccino che molti studi internazionali rilevano come frutto di indistinta ottusità e ignoranza, o come ennesimo esempio di sfiducia generalizzata nei vaccini (molto più bassa) o perfino nella scienza (i dati dimostrano il contrario). Come spiega un recente contributo pubblicato sul JAMA, va affrontata con franchezza la preoccupazione che la rapidità con cui sono arrivati i vaccini non abbia indotto a scorciatoie o sottovalutazione dei rischi: «Dobbiamo costruire fiducia nel pubblico nei processi usati per lo sviluppo, l’approvazione, la raccomandazione e la distribuzione dei vaccini». Terzo. La fiducia, e in particolare la fiducia nelle istituzioni, è il tema chiave che emerge da gran parte degli studi e dalle raccomandazioni delle agenzie internazionali. Questa fiducia va costruita a tutti i livelli, con particolare attenzione al rapporto tra popolazione, istituzioni e personale sanitario. Sul sito dei Centers for Disease Control and Prevention americani è già da tempo presente un communication toolkit che mette a disposizione del personale sanitario una serie di risorse non solo per la comunicazione con i pazienti, ma anche tra gli stessi operatori sanitari. Purtroppo per ora i piani del nostro governo per la comunicazione dei nuovi vaccini risultano piuttosto generici.
Nell’ambito di una strategia di comunicazione (e magari anche di ascolto) ampia, ben strutturata e condivisa, si può certamente pensare anche di coinvolgere alcuni testimonial. Ma se questa strategia non c’è, non possono essere i testimonial a sostituirla.
(Fonte: Corriere della Sera)